La necessità di dare un ordine di prelievo fiscale omogeneo in tutto il Regno indusse Carlo III di Borbone all’istituzione del Catasto onciario, disposto con dispaccio del 4 ottobre 1740.
I lavori iniziarono con l’emanazione della prammatica De catastis del 17 marzo 1741 che prevedeva la valutazione dei beni in relazione alla loro rendita e distingueva i contribuenti tra cittadini e forestieri, laici ed ecclesiastici, iscrivendo tutti gli abitanti del Regno e calcolando le imposte in relazione allo «status» delle persone e dei beni.
La documentazione dell’onciario era divisa in tre parti corrispondenti alle fasi di formazione di quel sistema tributario: le rivele, gli apprezzi e l’onciario vero e proprio.
I gravami previsti erano: a) il testatico imposto sul capofamiglia fino al compimento del sessantesimo anno d’età; b) l’imposta sul reddito da lavoro dei soli uomini a decorrere dai quattordici anni; c) l’imposta sui beni, sul bestiame e sui capitali concessi in prestito ad interesse.
Dal pagamento del testatico erano esentati tutti coloro che esercitavano una libera professione o vivevano di rendita con la conseguente iniqua distribuzione del carico fiscale gravante prevalentemente sui ceti meno abbienti.
L’intento riformatore di incidere sulle consolidate strutture del privilegio politico-fiscale fallì e il problema del catasto continuò a essere oggetto di contestazioni e discussioni dottrinali fino all’avvento del regime napoleonico.
Le copie digitali degli originali, conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli e relative alle località di:
- Amendolea (1747)
- Bova e Africo (1667-1671, 1742)
- Cardeto (1748)
- Maida (1749)
- Montebello Jonico (1746)
- Pentidattilo (1745, 1759)
- San Lorenzo (1746, 1754)
sono state donate dal dott. Giacomo Arcidiaco.